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“Genovesità, la mia carta vincente!”

18 aprile 2013 - 14:13

Città di camalli e di cantautori, da Umberto Bindi a Fabrizio De André, da Luigi Tenco a Bruno Lauzi, per proseguire con Gino Paoli. Tutti accomunati se non dai natali comuni, dall’aver trascorso un lungo periodo a Genova. E Francesco Baccini ammette di dover molto alla sua ‘genovesità’.

Scritto da Redazione GiocoNews

Al gioco: “Essere genovese mi salva! Quando vado al casinò cambio 100 euro e poi vedo come butta…. Se è una giornata no me ne vado subito, anziché compiere l’errore di giocare di nuovo per recuperare quello che ho perso! Devi essere maturo per giocare bene e per non rovinarti, e credo di esserlo! Da bravo genovese, ho il braccio corto quando si tratta di giocare, e poi io mi diverto solo se vinco…. Dunque non sono forse un vero giocatore, che si dice goda soprattutto quando perde!”. Un’eventualità che, come Baccini ammette, capita di rado: “Ho proprio una fortuna orribile, specie alle slot. Ricordo una volta al Casinò di Campione, avevo cambiato 100mila lire e nel giro di pochi minuti realizzai ben 2 jackpot alla stessa slot, tra le urla di disperazione degli altri giocatori che non si capacitavano di tanta fortuna! Conclusione: una bella vincita di 25mila franchi svizzeri, mica male!”. La fortuna del resto aiuta gli audaci: “E io sono competitivo per natura, mi piacciono tutti i giochi, anzi direi proprio di avere il gene del gioco molto sviluppato. Il poker innanzitutto, che mi affascina perché non conta solo la fortuna, ma giochi davvero anche tu, come del resto accade anche nel black jack. E poi mi piacciono in particolare le sfide da outsider, puntare sul perdente o sul presunto tale. Un esempio: Inter – Cesena? Io scommetto che vince il Cesena fuori casa per 3 a 0…. Tra le risate di chi accetta la scommessa…. Ma se vinco poi ridacchio io!”. E la scaramanzia non guasta: “In Svizzera – racconta ancora – mi capitava di andarci spesso, avendo una fidanzata a Zurigo. Una mattina che ero in partenza, di ritorno in Italia, un mio amico che aveva letto l’oroscopo del giorno mi ha detto: ‘Oggi vincerai al gioco’ e visto che al Casinò di Campione ci passavo proprio davanti, mi sono fermato: beh, aveva proprio ragione!”.

 

Ma torniamo a Genova, città anche dei grandi cantautori che hanno fatto la storia della musica leggera italiana e non solo. In questi mesi Francesco Baccini è in giro nei teatri italiani, per una tournèe che andrà avanti per tutto il 2010 e che sarà coronata da un disco live, a proporre il suo spettacolo ‘Baccini canta Tenco’. Lo incontriamo a Saint Vincent, per il numero zero del suo tour: “Sono molto legato a Tenco, per il fatto di essere cresciuti entrambi a Genova, senza contare quella notevole somiglianza fisica che già a vent’anni faceva s’ che amici e conoscenti mi chiamassero Luigi. Del resto, la scoperta della musica leggera l’ho fatta proprio grazie a Tenco, il cui modo di scrivere, così intimista, romantico, ha fortemente influenzato il mio. Ma nel mio tour voglio far anche conoscere quel Tenco ironico, fortemente impegnato nel sociale, che è assai meno noto e che credo somigli a un’altra parte del mio essere. Ovviamente, quando si confronti con un mito, bisogna andarci con i piedi di piombo!”.

Baccini ha avuto la grande fortuna di essere amico anche di Fabrizio De Andrè: “È davvero strano quando un mito, così lo era per me e per tanti altri, diventa anche un tuo amico! Mi faceva specie, andavo a casa sua a mangiare il pesto e parlavamo di tutto, ma non riuscivo ad abituarmi e lui mi rimproverava: ‘Smetti di fare il fan!’, mi intimava, lui che era più timido delle persone che timidamente gli chiedevano un autografo”.

Altro giro di ricordi, altro mito. Stavolta del ciclismo. Nel 2005 hai scritto un brano, ‘In fuga’, dedicato a Marco Pantani… “Ho avuto modo di conoscere Marco quando ero in giro con la nazionale cantanti, per me era il ciclismo fatta persona e per di più un personaggio che mi colpiva molto, sembrava solo e triste anche quando vinceva. Per me è stato un amico e nel mio ricordo lo associo a un bravo artista, più che a un bravo sportivo”.

Ma c’è un legame tra la musica e il gioco? “In inglese suonare si dice ‘to play’, e del resto l’artista per definizione si mette in gioco, rischia di suo, anche di non essere capito (come Tenco!). Noi contemporanei siamo però più fortunati di chi ci ha preceduti, in passato quasi mai gli artisti venivano capiti quando era in vita e capitava davvero che morissero da morti di fame, come Van Gogh che da vivo non aveva venduto neanche un quadro. E del resto, la vita stessa è un gioco, dove bisogna saper rischiare e buttarsi, talvolta senza rete. Ma se a quello che fai credi ciecamente, vinci. Io ne sono convinto e ne sono la prova: se ripenso a mente fredda a come è iniziato il mio percorso professionale, a come sono riuscito a cambiare il corso della mia vita non posso che convincermene sempre di più. Poi naturalmente ci vuole anche la fortuna, per esempio di incontrare le persone al momento giusto!”.

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