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Dado Moroni: 'Fare musica, il mio gioco preferito'

14 gennaio 2017 - 10:24

Il jazzista Dado Moroni evidenzia le tante analogie, anche linguistiche,tra le due attività, e a tavoli verdi e slot si rivela un modello di morigeratezza.

Scritto da Anna Maria Rengo
Dado Moroni: 'Fare musica, il mio gioco preferito'

Cosa ci fanno tre grandi della musica jazz come Dado Moroni, Eddie Gomez e Joe La Barbera, al Casinò di Sanremo? Risposta sbagliata! Il trio d'eccezione è venuto nella città dei fiori, e nella sua Casa da gioco, per rendere un omaggio all'altrettanto grande Bill Evans: “Bill – racconta Moroni – è un musicista incredibile, che ha cambiato la storia del piano jazz e anche il suo linguaggio. Fino al suo arrivo, tale linguaggio andava in una direzione ben definita, dove al contrabasso e alla batteria spettava solo una funzione di accompagnamento. Bill ha introdotto delle innnovazioni semplici, creando un dialogo dove le idee non sono solo del pianista che conduce il gioco, ma di tutti. Al primo posto non c'è più l'ego, ma la musica, ed è questo il vero punto d'arrivo affinché essa funzioni anziché autocelebrarsi, come spesso succede!”.

Tutto questo, come detto, “contornati dalle slot machines... ho già lavorato a Las Vegas e anche il Casinò di Sanremo è una location famigliare. Del resto ci sono delle analogie tra la musica e il gioco. Noi scommettiamo sulla riuscita delle nostre idee, il grande artista è colui che rischia. Nel gioco è un po' la stessa cosa, ed è bello che sia così. L'importante è il gioco non cominci a governarti la vita:in questo caso può diventare un supplizio per te stesso e per le persone che ti circondano. Io il gioco lo prendo come tale, appunto, un gioco. Poi so che si sono persone che si lasciano prendere la mano, e purtroppo questa è la condizione umana”.
Quindi al Casinò di Sanremo hai giocato o no?
Moroni ride: “In passato mi è capitato, ma stavolta siamo andati a dormire belli tranquilli. Comunque quando gioco scelgo sempre prima una somma: è quanto decido di spendere e sia che vinca o che perda non vado oltre”.
In francese suonare si dice jouer, in inglese play. Che cosa ne pensi di questo accostamento anche linguistico tra musica e gioco?
“Non solo in queste due lingue... anche in tedesco è così. Ed è giusto che sia così. Per me la musica deve essere gioco, ritorno all'essere bambini che giocano e che si divertono. La musica ti deve portare indietro, all'infanzia. Senza prendersi troppo sul serio, come tavolta i musicisti fanno. La cosa bella è provare delle soluzioni: non sai se saranno vincenti, se il risultato sarà quello che ti aspetti, come si svilupperanno. È proprio questa la componente ludica che non dovremmo mai perdere”.
Tu sei docente di pianoforte jazz al conservatorio di Como. Come i ragazzi hanno accolto l'introduzione di questa nuova materia e come vedi la commistione, impensabile fino a qualche tempo fa, tra musica classica e 'leggera', intendendo anche il jazz?
“Il jazz è un po' di anni che è dentro il conservatorio. Penso che le persone si siano rese conto che è musica di cultura, una pagina importante del '900, quando molti compositori classici vi si sono ispirati, trovandovi nuova linfa creativa. Non credo che si debba fare una divisione tra stili, la musica è un fiume che parte e che tocca varie rive e paes. Come in passato tante volte la musica ha avuto il suo fulcro nellEuropa centrale, poi in Russia, Francia, Italia, Spagna, era naturale che arrivasse anche in America, dove sono state apportate innovazioni armoniche e ritmiche. Pian piano penso che guarderemo alla Cina o a posti ora impensabili. E poi, diciamolo.... io sono sicuro che anche Chopin e Listz improvvisassero! Perché improvvisare ti aiuta a liberarti e a gestire le tue emozioni”.

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