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Passengers, il primo videogioco in cui si puo' gestire lo sbarco dei migranti

03 settembre 2015 - 12:07

Un videogioco in cui gestire lo sbarco dei migranti impersonando uno scafista è l'ultima novità del mondo del gaming che però sta, forse giustamente, ricevendo pesante critiche rivolte ai programmatori. 

Scritto da Giuseppe Tondelli
Passengers, il primo videogioco in cui si puo' gestire lo sbarco dei migranti

Passi Salvini e la sua caricatura o Berlusconi col suo 'bunga-bunga' ma il videogame appena prodotto e ispirato dalla tragedia della pesantissima situazione della migrazione dai Paesi africani e medio orientali è davvero di pessimo gusto.

Si chiama “Passengers” ed è videogioco che permette di vestire i panni di un trafficante di esseri umani nel Mediterraneo.

A realizzarlo e metterlo in rete sono stati due gamedesigner francesi, François Alliot, 36 anni, e Arnaud De Bock, 35 anni, che vivono a Londra. Avuta l’idea, ci hanno messo 36 ore a svilupparla. Infatti la grafica del gioco è volutamente essenziale, stile anni Ottanta, mentre il messaggio e il significato dell’iniziativa lo sono molto meno e fanno discutere.

Come funziona? Il giocatore è lo scafista. Poche le regole: prendi soldi dai migranti per portarli verso Italia, Spagna o Grecia. Nel viaggio spesso muoiono, la Guardia Costiera ti ferma e ti arresta, altri trafficanti ti attaccano e rubano i soldi. Non mancano le mazzette per eludere i controlli. L’abilità del giocatore consiste nel traghettare il maggior numero possibile di migranti. Per riuscire nel gioco bisogna gestire bene il business. E il gioco ha scatenato ovviamente polemiche con commenti pesantissimi sui social. Eppure, stando a sentire gli autori del gioco "l'intento era quello di aumentare la coscienza dei players su questo fatto gravissimo". Come riporta il Fatto Quotidiano "l’idea mi è venuta sentendo alla radio un dibattito sui flussi migratori. Seguendolo mi sono reso conto che sono considerati una marea minacciosa della povertà, non persone specifiche con le loro storie e i loro destini. Ho pensato che il gioco, probabilmente, è l’unico mezzo culturale in grado di mettere a frutto la capacità delle persone di “mettersi nei panni di qualcun altro”.
 
 

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