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Gioco ed etica, Donà: 'Educazione, sola carta vincente'

19 dicembre 2018 - 10:19

Il filosofo Massimo Donà esamina il gioco sotto il profilo etico e evidenzia come solo nella sua degenerazione diventi un vizio da combattere.

Scritto da Anna Maria Rengo

Si fa presto e facile a liquidarlo con facili e improvvisati giudizi. Quello che il filosofo Massimo Donà esprime sul gioco con vincita in denaro, è il frutto di un lungo studio ed esame: “Il gioco ha una dimensione filosofica e la filosofia, a sua volta, l’ha sempre fatto oggetto di un’importante riflessione. Fin dall’inizio…. Basti pensare al mito di Dioniso che gioca. Certo, il gioco può diventare vizio, una cosa immorale, ma la propensione a esso è imprescindibile dalla natura umana. Il gioco è quella dimensione in cui ci sentiamo liberi ma nel rispetto delle regole, è una dimensione che ci piace fin da bambini. La possibilità che degeneri esiste, che dunque possa portare a rovinare le famiglie o magari i pensionati, ma questo capita sempre. Anche con la religione, che se vissuta in maniera fondamentalista e bigotta fa perdere di vista il concetto di amore e di filia. Penso per esempio al film ‘Il pranzo di Babette’ e al legame malato con la religione delle sorelle che ne sono protagoniste”.

In che modo può esistere il gioco sano?

“C’è un’unica pratica possibile che ce lo consente: l’educazione. Il problema è che in molte persone ci sono carenze affettive o anche fragilità. Si tratta dunque di una questione di equilibrio a cui si deve essere educati. Poi si può anche scivolare, ma aiuta frequentare luoghi in cui ci si confronta, ci si ascolta, si riflette: così ci si mette più in guardia e anche al riparo dalle intemperie della vita”.

Che cosa ne pensa del proliferare dell’offerta di gioco che c’è stato in Italia negli ultimi anni?

“Il gioco, nelle sue forme degenerate, in qualche misura alimenta la speranza di risolvere, senza fatica, una situazione difficile. La speranza viene dunque affidata a una pura casualità, è infondata e si basa sulla risoluzione immediata del problema. Ciò colpisce soprattutto i caratteri deboli che, in alcuni momenti, si affidano alla magia del gioco. Ovviamente, il moltiplicarsi del’offerta di gioco è legato anche alle scelte della politica, che ha individuato in questo settore una possibile fonte di guadagno, come del resto quelli, come il calcio, dove girano tanti soldi. E come sempre accade, quando c’è un giro di denaro, c’è la possibilità di diventare sensibili alle sirene della corruzione”.

Il gioco può avere anche una funzione educativa, nell’insegnare il rispetto delle regole e nello stimolare a superare i propri limiti e a “vincere”?

“Certamente il gioco ha una funzione altamente positiva. È la metafora più straordinaria di ciò che la vita può concedere: un mondo in cui libertà e necessità non si elidano. Il gioco è un’isola in cui possono coesistere, in modo nuovo, rispetto e necessità pratiche della vita. Vincere, poi, è una vittoria che sprigiona entusiasmo, anche quando in palio non c’è nulla. Ciò che conta non è tanto la realizzazione, ma vivere un momento in cui giochiamo e vinciamo, senza il peso e le responsabilità con i quali la vita ci costringe a fare i conti. La vittoria stessa è libertà dalle regole della vita e ci fa vivere una situazione straordinaria, come l’arte o il sacro. Il gioco, del resto, è un rituale a suo modo sacro, e nel suo ambito ci muoviamo liberamente, come accade nella danza, che è appunto un movimento libero, assurdo, senza senso. Bello proprio per questo motivo. Tutto ciò ha a che fare con il divino, con un Dio che crea liberamente e senza alcun vincolo”.


Lui chi è?!

Massimo Donà (Venezia, 29 ottobre 1957) è un filosofo e musicista italiano. Dopo essersi laureato nel 1981 con Emanuele Severino, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Venezia, inizia a pubblicare diversi saggi per riviste e volumi collettanei. A partire dalla fine degli anni Ottanta, collabora con Massimo Cacciari presso la cattedra di Estetica dello Iuav (Venezia) e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta, inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con Massimo Cacciari e Romano Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni Novanta, invece, ha insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre con Romano Gasparotti e Massimo Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Andrea Emo. Dirige per la casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e "Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste, settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale "L'Espresso".

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