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Addio a Philippe Daverio: 'Nell'azzardo un fascino mistico'

02 settembre 2020 - 11:40

Morto a 71 anni il critico d'arte Philippe Daverio, Gioconews lo ricorda in un'intervista pubbblicata nell'ottobre del 2018.

Scritto da Redazione

"L'azzardo ha un fascino mistico" è una delle espressioni utilizzate, in un'intervista rilasciata a Gioconews nell'ottobre del 2018, da Philippe Daverio, morto all'età di 71 anni all'Istituto Tumori di Milano.

Lutto nel mondo dell'arte, ma anche l'universo del gioco a suo modo ricorda Philippe Daverio, critico e docente d'arte, giornalista, scrittore e conduttore tv. Con un'ironia sottile, come era nel suo stile, nell'intervista a Gioconews affrontò il tema del gioco declinandolo nell'arte e nella vita con toni lucidi e spiccata oggettività.

Daverio ne riconosceva il valore sociale in termini di svago e allegria nella vita, pur mettendo in guardia dai risvolti talvolta drammatici della patologia. "Non sono un giocatore - diceva -, mi affido alla fortuna giusto per i sorpassi in autostrada".

CHI ERA PHILIPPE DAVERIO - Nato a Mulhouse, in Francia nel 1949, da madre francese e padre italiano, era il quarto di sei figli. Dopo essersi trasferito in Italia, ha studiato alla Bocconi di Milano, università che abbandona senza conseguire la laurea, dopodiché apre la sua prima galleria a Milano, dove rimane per il resto della sua vita, segnata profondamente dalla sua vocazione da editore e, soprattutto, divulgatore dell'arte.
La redazione di Gioconews ricorda il critico d'arte Daverio e si stringe al dolore dei familiari per la sua scomparsa.
 
L'INTERVISTA A PHILIPPE DAVERIO - "Il grande gioco dell'arte" di Alessio Crisantemi.
"Come giocatore sono davvero un cane e non ho per niente fortuna, sarà che riservo la buona sorte per quando azzardo qualche sorpasso in autostrada", scherza il professore, Philippe Daverio, che si concede a Gioco News in un'intervista, in cui gioca, in realtà, tra una lettura artistica e una disamina sociale della materia. Inizia con una battuta, dunque. E questo c'era da aspettarselo. Poi però si fa subito serio, e sale in cattedra parlando del rapporto tra l'arte e l'azzardo.
 
"Non un legame innato", sostiene, "bensì un fenomeno che avviene quando il mondo dell'arte inizia a svolgere una funzione laica di critica sociale. Questo avviene già nel '400 con la pittura fiamminga che dipinge il gioco e il ruolo che esso svolge nella vita quotidiana che viene poi ripreso anche nelle varie correnti artistiche dei Paesi Bassi". 
Mentre in Italia, al solito, si devono fare i conti con un perbenismo bigotto che censura implicitamente questo tipo di espressioni 'futili', almeno fino a un certo periodo. "Da noi dovremo attendere fino all'esplosione del barocco romano e della cultura moderna per iniziare a vedere qualcosa di questo tipo. Poi tutto cambia nel '700, quando la pittura diventa più ludica e il passatempo, in generale, diventa un soggetto.
 
La cultura dello svago e dell'allegria della vita, quindi il gioco nelle varie forme. Poi l'800 italiano estende gli orizzonti e si inizia a dipingere il balletto o le altre forme di intrattenimento e le frivolezze che vengono accettate dalla società buonista, che tollera anche le angherie dei bari. Inizia ad esserci un modo nel quale alcuni elementi del peccato diventano oggetto di attenzione della arti e quindi soggetti di molte opere. Quasi esorcizzando la natura del peccato stesso. Dipingo una pipa per invitarti a smetter di fumare. E in questo modo svanisce la critica sociale".
 
Già, la critica sociale. Quella che ricompare oggi, parlando di giochi, e in maniera prepotente. Lei che idea si è fatto al riguardo? Il suo collega, Vittorio Sgarbi, proponeva più casino e casini, tempo fa."Direi  che di più casino e dei casini non si sente affatto l'esigenza. Ma il gioco ha comunque il suo ruolo sociale e la sua importanza nella vita quotidiana. Tutto dipende però dal tipo di atteggiamento e di psicologia con cui si affronta il gioco d'azzardo. Se penso alla vecchietta in Germania che spende tutta la pensione nelle slot, passando le giornate davanti a una macchina, non è il tipo di vecchietta che piace a me. Preferisco una vecchietta che spende il suo tempo leggendo Kierkegaard, insomma".
 
Rispetto alle tante polemiche in atto in questo momento, con chi grida allo scandalo per una eccessiva propensione e distribuzione del gioco cosa ne pensa? Lo percepisce, lei, questo disagio sociale diffuso? "Non vedo certo un'emergenza. Però un peggioramento collettivo dei costumi si percepisce, in qualche modo. Un conto è il gioco inteso come passione rionale e che ha quindi un grande valore sociale - e penso per esempio alla schedina del Totocalcio e al rituale che ha rappresentato negli anni nel nostro paese, Come una risposta alla scomparsa della casa del popolo - e un altro discorso è la patologia, che ha risvolti drammatici.
 
Chi pensa di dominare la realtà, con la consapevolezza nella sua pulsione, e poi c'è il puro azzardo, che ha il suo fascino mistico. Chi gioca i numeri sognati, o li ha visti e interpretati da un determinato evento. Del resto l'uomo scommette perché non capisce. Se Pascal scrive la sua storia sulla fede è perché scommette sull'esistenza di Dio. Ed è li che si passa dal punto apicale alla scommessa".

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