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Paola Maraone: 'Essere genitori, una sfida per tutte le ere'

22 maggio 2021 - 07:37

Paola Maraone aggiorna la sua 'guida pratica per sopravvivere al primo anno di vita del bambino': flessibilità e duttilità soprattutto in tempi di pandemia.

Scritto da Anna Maria Rengo

Erano i “bei vecchi tempi”, appena dieci anni fa, in cui essere genitori era una vera e propria sfida. Ma cosa significa esserlo oggi, ai tempi del Covid-19? Lo chiediamo direttamente alla giornalista e scrittrice Paola Maraone, autrice della versione aggiornata del libro “Ero una brava mamma prima di avere figli” (edizioni Baldini + Castoldi).

Più che mai, fare appello alle proprie doti di flessibilità e duttilità. E poi alla pazienza. Il nostro sembra essere un tempo inospitale per questa pratica, eppure tutte le vicende umane sono un lento esercizio di pazienza, a partire dall’attesa di un figlio. Mai come nell’ultimo anno, in effetti, siamo stati costretti ad attendere qualcosa: un risultato, la libertà, la guarigione. Ora che i nostri movimenti e le nostre possibilità di azione sono limitate, siamo chiamati a scovare altre forme di libertà. Spesso, per paradosso, restando tra le mura di casa. I bambini sono molto bravi in questo. E noi possiamo imparare osservandoli. Dimenticando la fretta”.

Covid a parte, ammesso sia possibile evitare di parlarne, era più “semplice” essere genitori dieci anni fa, quando è uscita la prima edizione di questo libro, rispetto a ora? Ogni era ha le sue sfide e le sue complessità. Comunque non direi: dieci anni fa, per esempio, i padri erano molto meno consapevoli del loro ruolo; rispetto alle madri occupavano una posizione decisamente più ancillare. Qualcuno – tra cui me – diceva, per scherzo: 'Sono come le renne per Babbo Natale', degli aiutanti, insomma. Nell’ultimo decennio da questo punto di vista abbiamo assistito a una vera rivoluzione. Anche grazie alla Rete sono nati gruppi di padri attenti e partecipi, che fanno la loro parte, esattamente come le donne. Un’altra cosa che è migliorata sono i servizi per la prima infanzia: oggi abbiamo più posti negli asili nido e nelle scuole materne. Il cammino è ancora lungo… ma la direzione è quella giusta”.

Quali sono i rischi maggiori che affrontano le nuove generazioni, tra didattica a distanza, poca socialità e massiccio ricorso al computer e smartphone? Da un lato i bambini e i ragazzi sono in fase evolutiva, da un punto di vista relazionale e simbolico necessitano più degli adulti di socialità vera, reale. Dall’altro lato, durante la crescita il cervello è particolarmente plastico: ci sono periodi cruciali, momenti in cui le vie neuronali si formano in risposta all’ambiente. E se il rapporto con l’ambiente è limitato o viene sovrascritto dall’uso massiccio della tecnologia questo processo rischia di venire compromesso. Più avanti si può recuperare… ma sarebbe meglio partire con il piede giusto ed evitare gli abusi di tecnologia”.

Quali consigli darebbe a una donna che desidera diventare madre in questo periodo? Gli stessi che darei sempre. In particolare: ascoltare i propri desideri profondi. Se questi desideri 'spingono' nella direzione di un bambino, non assecondarli sarebbe un vero peccato. Sono profondamente convinta che non ci sia (quasi mai) un momento ideale per fare un figlio. Se aspettassimo il soddisfacimento di tutte le condizioni possibili, finiremmo per non riprodurci mai. Diventare madre apre sempre giganteschi punti interrogativi: 'lanciare' un figlio nel mondo è un’impresa epica e piena di incognite. E, soprattutto, spalanca la porta al fallimento”.

In che senso? Se voglio essere una 'brava mamma' dovrei trascurare il lavoro, ignorare le telefonate di chi mi cerca, ammettere di aver tralasciato un impegno. Se voglio essere la 'vecchia me', invece, devo accettare che mio figlio pianga, accettare di non giocare abbastanza con lui, di lasciarlo nelle mani di qualcun altro perché voglio uscire la sera. La maternità è una coperta corta. La sfida è imparare ad accettarlo. E il titolo, ironico, del mio libro credo riesca a sottolinearlo in modo efficace…”.

Quanto è importante il gioco nella formazione dei bambini? Quanto è importante per noi adulti respirare, mangiare, dormire. Il gioco è il loro alfabeto, il codice attraverso il quale imparano a stare al mondo. Iniziano molto presto: persino un bimbo che si mangia un piedino sta sperimentando una prima forma di divertimento. Giocare è talmente vitale che per i primi anni i piccoli lo fanno anche da soli, di continuo; l’interazione attraverso il gioco arriva dopo. La cosa interessante è che i bambini sanno giocare con niente: un pezzo di stoffa, un raggio di sole, qualche goccia d’acqua. Non serve ricoprirli di regali per stimolare le loro potenzialità creative”.
 
Tra le preoccupazioni dei genitori c'è naturalmente che crescendo i figli possano sviluppare forme di dipendenze, da sostanze o comportamentali (tra cui anche da gioco). Lei come le ha affrontate? Sappiamo che sotto una certa soglia l’esposizione alla tecnologia non è pericolosa. Ma quella soglia – più o meno un’ora quotidiana di smartphone: sembra poco, ma non lo è affatto – non va superata. E poi, più tardi si comincia meglio è: secondo pedagogisti e psicologi, non prima delle scuole medie. Dopo di che si stabiliscono i tempi, si condivide un patto e si cerca di farlo rispettare ai ragazzi. I quali, come è nella loro natura, sulla carta si diranno d’accordo ma poi cercheranno di infrangerlo appena possono. Il che innesca ogni volta una lotta domestica, ma non bisogna mollare: con i figli, su questo e altri temi, è vietato arrendersi. Anche se questo significa dover litigare”.

 

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