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Rocco Schiavone ancora tra gioco e Saint Vincent in 'Rien ne va plus' di Antonio Manzini

16 gennaio 2019 - 10:38

Il fortunato personaggio di Antonio Manzini, Rocco Schiavone, torna ad occuparsi di un'inchiesta collegata al mondo del gioco e al casinò di Saint Vincent nel nuovo 'Rien ne va plus'. 

Scritto da Giulio Spacca

Rocco mi dispiace …”. “Cosa ti dispiace?”. “Che non ce la fai. Eppure è facile, Rocco, amore mio, dipende da te”. Accanto alla porta, Cecilia guardò spaventata il figlio. “Che fa?”. “Parla…” rispose il ragazzo. “Ma chi c’è nella stanza?”. Gabriele sorrise appena. “Sua moglie”. Cecilia aggrottò le sopracciglia. “Sua…?”. Gabriele annuì poi se ne tornò a letto. Cecilia lo seguì. “E tu come lo sai?”. “Lo so…”. Si infilò sotto le coperte. “E da quando lo fa?”. Mi sa da tanto tempo. All’inizio io pensavo parlasse con Lupa. Poi invece… tu per esempio parli mai con nonna?”. Io? Amore no, nonna è…” stava per dire morta, ma si fermò sentendosi un’idiota. “No, la porto con me, ma non ci parlo”. “Secondo me fai male”. Si mise a pancia sotto e spense l’abat-jour.

E’ una pagina toccante del nuovo romanzo di Antonio Manzini, “Rien ne va plus”, edito da Sellerio, uscito lo scorso 10 gennaio. I nuovi coinquilini di Rocco Schiavone, Gabriele e sua madre Cecilia, assistono all’ennesimo dialogo tra Rocco e la moglie scomparsa Marina. Immagine struggente che mette ancora una volta in risalto i fantasmi che Rocco si porta dentro. Ha bisogno di parlare con Marina e ogni tanto sente riaprirsi la ferita della morte di sua moglie, di cui si sente responsabile, per lui è una cicatrice che non si rimargina. Un dolore di un passato che non passa e non può passare. Ed è una chiave del successo delle storie di Manzini che ha imposto all’immaginario collettivo un personaggio come Rocco Schiavone che fa da contraltare ormai al celebre Montalbano di Camilleri. Il vicequestore di Aosta è sempre più protagonista, sempre più centrale. Tutto ruota intorno a lui. Questa pubblicazione segue, dopo poco tempo,Fate il vostro gioco, di Manzini, che si concludeva con la soluzione del caso del ragioniere Favre, ucciso senza un movente convincente per Rocco Schiavone. Questa volta tutto prende spunto dalla misteriosa scomparsa di un furgone portavalori contenente le entrate del casinò di Saint-Vincent, quasi tre milioni di euro. Rocco Schiavone sente che il furto potrebbe essere direttamente collegato alla sua precedente indagine. La sua azione si svolge sempre in maniera poco ortodossa e spesso all’insaputa dei capi della questura e della procura, ma riesce gradualmente a scoprire la verità.

 

Verità che si rivela sempre molto scomoda. Intanto, nella sua vita sono entrati il giovane Gabriele, sua madre Cecilia e la cucciolona Lupa. E pesante come un macigno per Schiavone potrebbe rivelarsi la scoperta del cadavere di Luigi Baiocchi, il killer della moglie Marina. Insomma un intreccio di storie, che scorre su tanti binari narrativi e che tiene il lettore sospeso fino all’ultimo respiro. La sorpresa, poi, dei sogni e degli amori dei suoi bizzarri collaboratori, da Casella a D’Intino, che cominciano quasi ad essere ridisegnati dalla penna di Manzini. C’è un minimo comune denominatore in queste storie parallele: l’amore. Ci sono momenti come quello in cui Manzini descrive la scelta dei fiori da parte di Casella per la sua fiamma Eugenia, in cui si colgono, conditi da tanta ironia, una tenerezza e un romanticismo di altri tempi. Ed è in questi frangenti, nella scoperta dei sentimenti dei suoi collaboratori, che Rocco si ritrova e ritorna in sé riuscendo quasi ad addolcire il dolore che lo attanaglia.
Poi c’è Roma, la città in cui Schiavone torna e ritorna, per cui prova una sorta di amore e di odio. Ad un certo punto sta decidendo di mollare tutto, di vendere la casa sua e di Marina e il suo amico Brizio fa una dichiarazione sulla città eterna che spiazza: “E va bene Rocco te ne vai da Roma e allora? … sta città sporca, de bottegai che non pagano le tasse, de ministeriali che non fanno un cazzo, di turisti che girano a migliaia come branchi de bufali e zozzano quel poco che è rimasto da zozzà… Questa città è un buco nero, tutto quello che tocca lo trasforma in merda, amico mio che rimpiangerai? ... Ma dimme dove vai che te raggiungo”. E’ Brizio che parla e con lui forse tanti romani di oggi …
 
 
Ma Roma per Rocco è una sorpresa continua, come quando incontra un vecchio amico di suo padre Sabatino che gli fa un regalo. Una vecchia fotografia con il padre di Rocco di fronte alla tipografia Manara. “Rocco si perse a osservare il viso di suo padre. Poco più che ventenne, i capelli scuri e pettinati all’indietro, una camicia bianca e un sorriso che si vede che non era abituato a mostrare. Ora che ci pensava lui non aveva mai visto sorridere suo padre, solo all’ospedale quando se ne stava andando e gli aveva detto: “Rocco, mò il maschio di casa sei tu” e lui era scoppiato a piangere. “Avevamo tutta la vita davanti Rocco mio lo sai? Mò sei più vecchio di tuo padre.” “E’ vero l’ho superato lo sa? Non ho manco una foto di papà”. “E mò ce l’hai. Guarda bene. Che vedi davanti al fruttarolo?” Rocco osservò. Una bicicletta guidata da un bambino di poco più di sei anni. “Sei tu su quella bici”. Era lui. Se la ricordava la bicicletta Atala, rossa con le gomme bianche.” E in queste poche righe c’è tanta bella Roma e romanità.
 
 
Le pagine di Rien ne va plus compiono una crescente caratterizzazione di Rocco Schiavone, della sua psicologia e della sua statura morale. Nella ricerca della verità e della risoluzione del caso, Schiavone vuole mettere in evidenza che l’organizzazione criminale che ha compiuto e operato il furto del furgone portavalori, è colpevole quanto tutti coloro, assessori, amministratori delegati, legati alla Regione e al casinò che non hanno la faccia da assassini, ma che vestono bene e vanno tutti i giorni dal barbiere. La storia ha una conclusione a sorpresa e anche in questo romanzo possiamo dire che rimane sospesa. Come ci ha abituato Manzini. Attendiamo di leggere il prossimo allora. A breve, si spera.

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