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Il Totocalcio si chiamava Sisal e aiutò l'Italia a ripartire dopo la Grande Guerra

31 marzo 2020 - 10:57

Il Totocalcio lo inventò Massimo Della Pergola, che lavorò al Corriere dello Sport Stadio. Si chiamò in origine Sisal, Sport Italia Società a Responsabilità Limitata, l’acronimo fu fortunato.

Scritto da Cesare Antonini

Si chiama Massimo Della Pergola, l’inventore del Totocalcio. L’ha riscoperto e riproposto all’attenzione del grande pubblico lo storico columnist del Corriere dello Sport, Italo Cucci in uno speciale sulla nascita di un gioco che ha fatto la storia dell’Italia creando milionari, film e anche tanta speranza. La bella intervista ad Aldo Bardelli che segnalò la storia a Cucci, non esce a caso in questi giorni. Il Totocalcio, che si chiamò in origine Sisal, Sport Italia Società a Responsabilità Limitata, nacque non solo come business e come gioco per raccogliere soldi per lo Stato ma anche come sogno, come simbolo di speranza. E all’epoca era perfetto perché il mitico “13” era l’ideale mix di skills sportive e di pronostico con la dea bendata visto che azzeccare una martin gala del genere ha odds davvero basse come hanno imparato bene, ormai, gli scommettitori italiani. 

Ma come nacque il Totocalcio? “Lo inventammo lì, da fantasiosi... prigionieri. Si chiamò in origine Sisal, Sport Italia Società a Responsabilità Limitata, l’acronimo fu fortunato, fortunatissima la schedina che avevamo inventato io e due colleghi; nel 1946, a guerra appena finita, con tanti pensieri in testa, gli italiani dicevano Sisal per dire speranza, un sogno, soldi soldi soldi... Ma tu giochi?”, dice Bardelli a Cucci nella famosa chiacchierata da cui nacque quet’intervista.

“Giocavo, qualche volta, ma preferivo - sciagurato - la cocincina, il peggior gioco possibile, primo in classifica nella tabella dei giochi proibiti esposta nelle osterie e nei caffè- bar”, disse Cucci.

E ancora Bardelli: “Non gioco, è diventata la mania di mia mamma, costruisce la schedina durante tutta la settimana, a modo suo, fino al sabato sera. Nonostante si giochi pronosticando le partite del campionato non mi ha mai chiesto un parere, in fondo dovrei essere un esperto”. 

Le prime giocate: “Ha capito cos’è il gioco: fortuna. Sai che si giocano i sistemi ma i primi milionari sono nati con la schedina semplice, si faceva dodici, poi il Monopolio ebbe comunque una bella idea aggiungendo un pronostico e dandogli il classico numero portafortuna della cabala: fare tredici era diventato il sogno di tutti”.

Quell’Italia, fra il ‘46 e il ‘48, era da ricostruire fisicamente, i segni della guerra più o meno vistosi erano dappertutto, ma lo spirito degli italiani era più alto delle rovine e quel giochino del calcio fece 13. La prima partita nell’elenco era Inter-Juventus giunse un sorriso al fine settimana che nel frattempo aveva ritrovato il campionato di Serie A che accendeva sfide abbandonate per lungo tempo ma attese e rivissute come se non fosse successo nulla. Prima schedina, costo 30 lire, 5 maggio 1946. Prima partita delle 12 da indovinare, guarda un po’, Inter-Juventus. Primo vincitore, tal Blasetti, intascò circa mezzo milione. I supermilionari vennero dopo, se ne giovò pubblicitariamente il gioco, non i vincitori, che furono sfigatissimi e finirono spesso malamente.

Della Pergola ribadiva il concetto: la Sisal, il Totocalcio non valevano nell’Italietta in ricostruzione per le vincite eccezionali, allora davano soprattutto una mano alle famiglie per aff rontare i costi della rinascita. Per lo sport, poi, manna dal cielo. Della Pergola - il popolare m.d.p. di Stadio che raccontava le partite di Bergamo, Como, Cremona, Brescia, Milan-Inter no, appartenevano a Danilo Mazzuccato e Mario Forte - era un uomo di sport e la schedina l’aveva concepita soprattutto per finanziare la rinascita del Coni, delle federazioni, e quando gli italiani cominciarono a giocare al Toto 18 milioni di colonne, si capì il valore di quella scommessa.
Poi la svolta: “Lo Stato famelico se ne appropriò. Felice, quell’incontro con mdp, uomo piacevole, elegante, educato al quale era impossibile chiedere polemiche o stroncature, ricavando il vantaggio di trovare tramite lui tanti personaggi disponibili a parlare con il giornale. Poco tempo dopo quel primo incontro mi piacque dargli una notizia particolare: all’esame per diventare giornalista professionista un componente la commissione, il grande Antonio Ghirelli, mi aveva chiesto: Chi finanzia lo Sport in Italia? Il Coni! - risposi sicuro. No, il Totocalcio... Bravo lo stesso”. 

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