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Mgw2018, Cage: 'Videogame, forma d’arte come cinema e letteratura'

06 ottobre 2018 - 07:51

Alla Milan Games Week 2018 il guru del gaming David Cage esalta il videogame come forma d’arte e racconta la genesi di 'Detroit: Become Human'.

Scritto da Daniele Duso

Milano - Sono parole che sembrano voler tracciare la toponomastica di un nuovo mondo quelle che hanno aperto l’ottava edizione della Milan Games Week. Parole che, non a caso, vengono pronunciate da colui che è stato definito il “Guru”, il padrino dell’edizione 2018 della kermesse milanese dedicata al gaming: l’autore, sceneggiatore e musicista David Cage. “I videogame sono ormai come il cinema e la letteratura, possono affrontare anche temi difficili, perché non sono solo opere di evasione”.

 

David Cage non dimostra alcuna esitazione ad elevare il videogioco a vera e propria forma d’arte, come d’altronde il suo stesso personaggio dimostra. Di origine italo francese, il 49enne Cage (il nome vero è David De Gruttola) con la sua Quantic Dream ha creato una lunga serie di titoli inaugurando il filone del cosiddetto “dramma interattivo”, dimostrando di non aver mai avuto paura di osare. Titoli come Fahrenheit (2005), Heavy Rain (2010), Beyond: Due anime (2013) e Detroit: Become Human (2018) hanno saputo via via presentare tematiche che fino a qualche anno prima sarebbero state considerate come improponibili in un mondo di svago come quello del videogame.
 
 
 
 
David Cage si è sempre considerato, e si considera tutt’ora, un pioniere. Lo ha confermato dal palco di Radio 105, affermando di non essersi mai pentito della sua scelta di affrontare tematiche come il razzismo, la violenza domestica, e il rapporto uomo macchina nei suoi titoli. “Abbiamo il cliché che il videogame sia solo evasione, nemici da sconfiggere, zombie e alieni – ha spiegato Cage –. Mi chiedo perché mai dovremmo trattare il videogame come un canale differente dal cinema, dalla televisione, dalla letteratura. Io penso che sia giusto mettere questi temi dentro ai videogame. Oggi tanti altri lo fanno, ma io continuo a considerarmi un outsider, un pioniere del genere”.
 
 
Tra gli argomenti toccati anche quello genesi di un videogame complesso e stratificato come il suo ultimo Detroit, realizzato pensando a “una storia con tantissime storie all'interno, e dunque un gioco che contiene più giochi distinti”. Un gioco che ha richiesto 4 anni di lavoro “un tempo sempre troppo lungo per un produttore, ma sempre troppo corto per me”. Detroit ha in effetti alle spalle 4mila pagine di sceneggiatura, due anni necessari alla stesura del progetto, un anno per le riprese e almeno un altro per mettere assieme tutti gli elementi, e una cura maniacale del dettaglio, che deve rispettare al massimo l’idea di Cage anche negli attori che vi partecipano. “Gli attori per me sono fondamentali. Mentre scrivo una storia già penso a come devono essere gli attori. Dopo il casting li incontro di persona, gli parlo e li spavento spiegando quanto sarà duro il lavoro che li aspetta. Chi rimane dimostra sempre di avere grande passione, e solo con questa il viaggio da fare assieme diventa un piacere”.
 
 
Detroit: Become human affronta il tema della tecnologia, e dato che questa è in continua evoluzione un guru deve esprimersi anche su questo. Chiaro il pensiero di David Cage: “La tecnologia deve essere sempre considerata lo strumento, non l'obiettivo. Quando approcciamo la realizzazione di un videogame usiamo la tecnologia che abbiamo a disposizione in quel momento. In futuro, ad esempio, sicuramente mi aspetto sempre migliore un rendering fotografico. Ma al di là di questo, se la tecnologia non andrà a coinvolgere e sovrastare il giocatore, allora significa che la stiamo utilizzando correttamente”. Secondo Cage è necessario “focalizzarsi sulle idee. Con le idee giuste anche solo con la tecnologia a disposizione oggi possiamo fare tantissime cose grandiose”.
 
 
L’unico punto che delude i fan è la mancanza di anticipazioni in merito a nuovi progetti. Che ci sia qualcosa di nuovo David Cage lo fa intuire, ma non lascia trapelare nulla se non che “avrà sicuramente a che fare con la realtà e con le problematiche che viviamo”. Chiude poi mettendo in discussione proprio la tesi portante del suo ultimo lavoro, osservando che “quando abbiamo realizzato Detroit abbiamo parlato di una tecnologia che divide, separa. Eppure proprio dopo Detroit ho avuto la dimostrazione che è vero il contrario: sono proprio incontri pubblici come questi oltre ai tanti e costanti contatti con i fan in tutto il mondo – ha chiosato prima di essere sommerso dagli applausi -, che mi dimostrano che il messaggio di Detroit è sbagliato: la tecnologia non ci separerà”.
 

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