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Festival dello sport, esports protagonisti con i top gamer italiani

14 ottobre 2019 - 08:52

Sotto i riflettori del Festival dello sport di Trento tanti protagonisti degli esports, gamer italiani ed esperti, ad evidenziarne gli sviluppi e il suo ruolo positivo contro ogni barriera.

Scritto da Redazione

Si è parlato anche di esports, e del loro ruolo positivo nell'unire i giovani, al Festival dello Sport andato in scena a Trento lo scorso weekend,  con gli interventi di tanti campioni sportivi nazionali e internazionali ed esperti del settore.

 

 

Il festival ha visto confrontarsi in una tavola rotonda i top player italiani dei videogame, con una folla di appassionati (giovanissimi e non solo) ad accogliere negli spazi delle gallerie di Piedicastello il campione nazionale Alessandro “Stermy” Avallone - leggenda degli esport italiani, testimonial della campagna #NotForEveryone dell'Inter -, il player italiano di punta nel panorama prima degli Fps e ora di Apex e Fortnite Thomas “Hal” Avallone e lo streamer (e pro player) italiano più popolare Giorgio “Pow3r” Calandrelli, intervenuto in diretta da Roma.

Accanto a loro, era presente lo psicologo e mental trainer Mauro Lucchetta, pioniere della preparazione mentale negli esport.
 
LUCCHETTA: "COME ALLENARSI NEGLI ESPORTS" - “Nello sport e negli esports la maggior parte delle attività di preparazione mentale è molto simile, anche se con i gamers è possibile lavorare a distanza”. Le attività principali riguardano tre aree: rilassamento, visualizzazione e linguaggio interno. È fondamentale orientale l'attenzione del cervello verso le azioni importanti da compiere all'interno del gioco, cercando di eliminare i “rumori di fondo” che impediscono di affrontare nel miglior modo possibile la partita”.
Ma nello specifico, quale preparazione si affronta per giochi tattici e Fps Arena? “Per valorizzare le proprie qualità è importante in primis scegliere la tipologia di gioco che più ci piace. C'è chi ama il brivido di sfidare 100 avversari, e chi invece preferisce la partita contro una sola persona. Per tutti è fondamentale sviluppare la tolleranza alla sfortuna e, specialmente nelle battle royale, allenare mira e riflessi e costruire ad esempio in Fortnite gli elementi che servono a proteggersi dall'avversario. Infine, si devono allenare le dinamiche di team, a partire dal linguaggio e dalla quantità di informazioni da veicolare”.
Lo psicologo ha puntualizzato come videogiochi come Fortnite non favoriscano aggressività e violenza: “Questo rischio non esiste, dato che la violenza non viene nemmeno raffigurata: non c'è sangue, ma si punta ad eliminare l'avversario con le armi in un contesto cartoonesco che propone stimoli visivi colorati e divertenti. Va peraltro detto che non è un videogioco violento che rende aggressiva una persona. Si tratta di vere e proprie competizioni, al pari di quelle sportive”.
 
 
GIOCHI ED ESPORTS CONTRO OGNI BARRIERA - Alle Gallerie di Piedicastello, a latere dello spazio espositivo dedicato alla storia dei videogiochi dal 1980 al futuro, Giulio di Feo, giornalista della Gazzetta dello Sport, ha presentato un incontro dal titolo “Giochi ed esports contro ogni barriera” con Amir Hajar, chief gaming officer e co-fondatore dei Mkers, uno dei maggiori team esportivi in Italia, Massimiliano Sechi, nato con una grave malformazione che gli impedisce il completo sviluppo degli arti, ex player di alto livello e oggi life & business coach, e Selene “NancyDrew” Mauretto, gamer Samsung Morning Star Athena.
Esports e videogames hanno una peculiarità unica: non vedono differenze di genere. Tutti possono competere contro tutti, donne con e contro uomini, players di ogni età e condizione fisica sono messi alla prova nella stessa arena senza partire svantaggiati. La loro pratica diventa un’occasione di inclusione e di pari opportunità come in pochissimi altri ambiti competitivi. Ma non è sempre così. Anche in questo campo ci sono discriminazioni di vario tipo. Per non parlare di una realtà come il cyberbullismo.
Con gli ospiti si è cercato di capire quale sia il “piccone di Fortnite” utile per abbattere queste differenze.
Massimiliano Sechi è la testimonianza che una condizione fisicamente limitante come la sua non può impedire di vivere una vita “normale”, anzi, Max ha un dono in più con il quale aiuta le persone proprio grazie al videogame. Da giocatore infatti è diventato lifecoach. “Ho imparato che nella mia condizione, non è affatto vero che non puoi fare le cose che fanno tutti, ma l’importante è trovare un modo diverso per farlo - dice Massimiliano - all’inizio ho dovuto essere più bravo degli altri, anzi, molto più bravo, perché avevo a disposizione solo due gomiti ed un piede, anziché dieci dita.”
E sul cyberbullismo aggiunge: “Per molti, videogame e sport sono in verità solo un mezzo per comunicare ciò che offline, nella vita reale, non si riesce ad esprimere. Il terreno fertile per il cyberbullismo viene da una mancanza educativa. In verità tra offline e online ci sono le medesime problematiche. La mia esperienza con il cyberbullismo  - continua Max - è stata nel momento in cui sono arrivato ai vertici dove c’è una grande forma di invidia, un po’ come in tutti gli sport. Ma le offese sono state utilissime. All’inizio non capivo perché mi facessero così male, ma questa sofferenza mi ha costretto a guardarmi dentro e ad accettarmi. E così ho deciso di mostrare la mia disabilità alla community internazionale e la mia testimonianza è diventata un modello per molti”.
La gamer Selene racconta invece il suo rapporto con un ambiente che è sempre stato maschile, dove è stato difficile trovare un modello femminile da seguire: “Mi sono ispirata solo a me stessa, cercando un modello dentro di me. I videogiochi sono considerati “roba da maschi” per una questione di retaggio sociale, che vede la donna avere altri hobbies. Anche nella propria famiglia certe volte è difficile per una ragazza gamer farsi accettare in questo senso, ma esistono comunque molte persone che ti supportano e ti incitano a continuare sulla tua strada”.
Da parte sua Amir Hajar parla dell’importanza della comunicazione: “Bisognerebbe avere un metodo di condotta per tutti, servirebbero degli esempi e raccontare esperienze e persone per sensibilizzare. Bisogna dire che certi ragazzi con problemi loro, hanno trovato proprio nella competitività, un modo per risolverli.”
Ma è proprio nella competitività, come nella vita reale, dove può scaturire l’offesa. “L’offesa fa male quando non hai lavorato su una ferita aperta  - spiega Max il coach - oppure perché non hai ancora lavorato abbastanza su te stesso. Io avevo superato la mia disabilità ma non l’avevo accettata. Ciò è successo solo nel momento in cui ho lavorato sulla percezione di me stesso e da quel momento nessuna offesa riusciva a toccarmi. Bisogna dire - continua Massimiliano - che l’aggressività fa parte della nostra vita, anzi, è la vita. È importante anche che i ragazzi imparino a farsi le ossa accettando e vivendo le sfide attivando da soli delle risorse che hanno in loro stessi ed imparando che più si cresce più le sfide diventano importanti”.
Bisogna aggiungere in definitiva che il settore del videogioco non è più “tempo perso”, come da certe mamme si sente ancora dire, ma sta sfornando sempre più nuove opportunità, come, ad esempio nuove figure professionali. Rispetto ad altri posti, in Italia ci stiamo arrivando, ma il futuro è ormai qui.
 
 
 
 

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