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In Cina prosegue la lotta aspra al settore dei videogiochi

04 gennaio 2022 - 09:49

La Cina continua la sua strenua lotta contro il settore dei videogiochi e le aziende volano all'estero. 

Scritto da Gt
In Cina prosegue la lotta aspra al settore dei videogiochi

Avevamo già scritto della strenua lotta della Cina al settore dei videogiochi partita dal primo settembre del 2021. Non a caso l’ultimo titolo approvato dal regolatore risale a luglio dello scorso anno, quando le aziende avevano già capito che nelle settimane successive non avrebbero più avuto la possibilità di mettere nuovi giochi sul mercato che, manco a dirlo, è enorme. E secondo gli ultimi rapporti esteri il settore dei videogiochi sarebbe in crisi in Cina. Gran parte delle case di sviluppo ha chiuso i battenti mentre altre cercano riparo all’estero.   

Del resto le regole sono davvero assurde. Dal primo settembre si gioca al massimo 3 ore complessive alla settimana e, dal venerdì alla domenica, solo dalle 20 alle 21. Alle aziende che offrono questo tipo di intrattenimento è richiesto di certificare età e identità dei giocatori, anche con strumenti tecnologici innovativi, come il controllo facciale, oltre alla richiesta di registrazione con nome reale. Qualcuno sarebbe contento anche in Italia e in Europa ma non è col proibizionismo che si risolvono i problemi. 

Ma perché questa folle e feroce battaglia contro i videogiochi? Questi prodotti da intrattenimento sono stati definiti dal governo come “oppio spirituale”. Ciò che era cominciato con forti regolamentazioni in termini di tempi di utilizzo delle console è ora diventata una lotta senza quartiere contro l’intera industria. Difatti, secondo quanto riportato da endgadget, l’ente regolatore – National Press and Publication Administration (NPPA) – starebbe negando le licenze alle case di sviluppo videoludiche. L’ultima licenza rilasciata per un videogame risale infatti a luglio 2021. Questo vuol dire che da ben 6 mesi le software house cinesi, economicamente, valgono meno di zero. Una situazione critica che sta portando molti sviluppatori a chiudere i battenti ed uscire dal già compromesso mercato cinese dei videogame. Chi invece non ha ancora sventolato bandiera bianca sta provando a riorganizzare il lavoro in altri Paesi, spostando le operazioni all’estero. La NPPA non ha fornito alcuna spiegazione ufficiale in merito allo stop delle licenze, ma non stupisce un simile atteggiamento: la Cina ha passato buona parte del 2021 portando avanti una crociata contro i videogame, forte anche dei mass media statali di cui il governo predispone. 

Nei mesi scorsi la China's State Administration for Market Regulation (Samr) ha già sanzionato alcune fintech come ByteDance (che ha il suo prodotto di punta nel famoso TikTok) per violazione della normativa antimonopolistica. Come riporta il Cesi, Centro studi internazionali di Roma, la stessa Samr ha quindi aperto indagini anche su Alibaba e Tencent, rispettivamente per abuso di posizione dominante e violazione della normativa antitrust. Opeazioni in linea con l'impostazione del socialismo di mercato cinese, che lascia spazi di manovra all'impresa privata purché le sue dimensioni non sfuggano di mano al controllo statale, pronto, nel caso, a intervenire rapidamente, anche con decisioni drastiche.

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